La danza del ventre esaminata da scienza e filosofia
Oltre che ad un insieme di religioni monoteiste che dichiarano espressamente di essere contro la celebrazione del ventre femminile e del suo relativo ripudio, nonché atte alla distorsione del significato profondo che questo rappresenta, abbiamo anche una scienza che permea le sue radici nell’antica filosofia Greca, la quale sembra come avere una certa “preoccupazione e ripudio” quando si accinge a discutere di questa “zona femminile”.
Nelle antiche religioni è quasi sempre narrato di una prima donna, che si appresta a dare vita, come madre originaria alla stirpe dell’umanità, così come accade anche all’interno di religioni come quella Greca, dove all’interno del Pantheon, si trova una figura che può essere equiparata a quella di Eva nella religione Cristiana.
Se Eva mangia la mela del peccato originale, ecco che Pandora nella mitologia Greca, scopre il suo vaso, per introdurre il male per tutta l’umanità, l’emblema del vaso è l’equivalente del ventre femminile.
Il ventre viene interpretato dagli antichi poeti greci solo come un semplice contenitore e custodia della vita, che nasce però in maniera assoluta dal seme.
Così come Aristotele influenzò tramite i suoi scritti tutta l’opinione Occidentale, nonché il punto di vista definitivo della Chiesa, dove si sosteneva che fosse l’uomo a dare linfa vitale ad un “materiale inanimato” presente in fase embrionale nel ventre materno.
Questo anche se in un primo approccio può sembrare stabile e democratico per entrambe le parti, in realtà nella società dell’antica Grecia sminuiva il ruolo fondamentale della donna, poiché la semplice “materia organica” era accomunata alla natura degli animali (considerati inferiori e senza un’anima), mentre il ruolo di “infusione spirituale e della vita” veniva attribuita esclusivamente all’uomo.
Per alcuni antichi filosofi, quindi, la donna veniva considerata come un essere di natura inferiore a quella dell’uomo, un “essere secondario” utile esclusivamente per divenire un mero contenitore della fertilità e della vita umana.
Questi pensieri si svilupparono all’interno delle antiche società, coinvolgendo tutto e tutti, basandosi quasi sempre su idee filosofiche o religiose, tanto da spianare la strada anche ad interpretazioni artistiche, politiche, scientifiche, biologiche e letterarie.
Come per Tommaso D’Aquino, così per Seneca o anche per Dante Alighieri, che nella Divina Commedia, descrive la Donna come un essere da virtù meramente passiva e l’uomo come virtù attiva, non tanto per quanto riguarda l’aspetto fisico, ma quanto più per l’aspetto esoterico e spirituale del significato intrinseco di queste 2 figure sociali.
Anche la scienza biologica contribuì ad arrecare danno all’importanza della figura del ventre materno e del ruolo della donna all’interno delle antiche società.
La Chiesa del Medioevo considerava infatti il grembo materno come una semplice incubatrice, attribuendo al maschio tutto il valore spirituale della nascita, dando vita così a correnti di pensiero come il Preformismo (nella quale veniva considerato l’utero esclusivamente come un terreno atto ad accogliere il seme già incluso di anima di un individuo).
Purtroppo il ventre e il relativo utero materno è da sempre stato vittima di grottesche fantasie, talvolta depistanti, altre volte profondamente offensive nei confronti della donna vista come madre, della sua femminilità e del suo stesso corpo.
Ventre “braccato” persino da filosofi come Platone, o da personaggi illustri della Chiesa, che utilizzarono nel tempo le maldicenze e gli studi scientifici sul ventre e sull’utero della donna per poterla perseguire ed accusare di “commercio col demonio”.